I. Premessa
Il delitto di traffico di influenze illecite ex art. 346-bis c.p., come noto, è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 190 del 6 novembre 2012 (c.d. “legge Severino”), al fine di punire quelle condotte prodromiche all’accordo corruttivo o comunque distorsive dell’esercizio delle funzioni pubbliche, reputate di per sé lesive dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.
La scelta del legislatore del 2012 di inserire nel codice penale la fattispecie incriminatrice de qua è stata fortemente influenzata dalle sollecitazioni internazionali pattizie – si badi, non si trattò di obblighi internazionali di criminalizzazione, come spesso viene erroneamente sostenuto – quali la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 1999 (art. 12) e la Convenzione sulla lotta alla corruzione dell’Onu del 2003 (art. 18). Entrambe le Convenzioni appena citate sono state ratificate dall’Italia, rispettivamente, la prima nel 2012 e la seconda nel 2009.
Il reato in parola è stato poi profondamente riformato dalla legge n. 3 del 9 gennaio 2019 (c.d. “legge spazzacorrotti”), promossa dall’allora Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, la quale, per un verso, ha ampliato in modo considerevole il perimetro applicativo della norma e, per altro verso, ha reso ancora più evanescenti i contorni della stessa fattispecie criminosa. Difatti, con l’intervento riformatore sono stati espunti dalla tipicità tutti i principali contrassegni selettivi. Da una parte, è stato eliminato dal testo della norma l’inciso ≪in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio≫ e, dall’altra parte, è venuta meno la natura necessariamente “patrimoniale” del vantaggio dato o promesso al venditore di influenza. Inoltre, la novella ha esteso il raggio operativo della fattispecie anche agli accordi finalizzati ad influenzare un pubblico ufficiale straniero o altro soggetto menzionato nell’art. 322-bis c.p.
Sul versante sanzionatorio, la legge spazzacorrotti ha innalzato il massimo edittale della pena prevista per la fattispecie delittuosa in esame portandolo a quattro anni e sei mesi (nella versione del 2012 era comminata la pena della reclusione fino a tre anni).
Con la medesima novella del 2019 le condotte previste dal delitto di millantato credito di cui al vecchio articolo 346 c.p. – fattispecie abrogata dalla stessa legge spazzacorrotti – sono state ricomprese nella previsione normativa di cui all’art. 346-bis c.p.
Sul punto, preme evidenziare che il contrasto sorto in giurisprudenza circa la sussistenza di una continuità normativa tra il reato di millantato credito, di cui all’art. 346 c.p., comma secondo, e quello di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis c.p. è stato sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite Penali. La Suprema Corte ha adottato una soluzione negativa in merito alla questione di diritto sottopostale, nel senso di ritenere esclusa la continuità normativa tra le suddette fattispecie incriminatrici.
Invero, il giudice della nomofilachia ha statuito che “le condotte, già integranti gli estremi dell’abolito reato di cui all’art. 346, secondo comma, cod. pen., potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice”.
Non può che esprimersi un giudizio positivo sulla decisione adottata dalla Corte, in quanto orientata al pieno rispetto del principio di offensività: sono punibili ai sensi dell’art 346-bis c.p. solo quelle condotte effettivamente offensive dei beni giuridici tutelati dalla norma medesima, ovverosia il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione. Viceversa, la condotta di chi dà o promette un’utilità indebita a chi millanta artificiosamente capacità di influenza inesistenti, non offende, neppure in termini prodromici, i summenzionati beni giuridici.
Ciò brevemente premesso sull’origine e l’evoluzione del delitto di traffico di influenze illecite, non vi è chi non veda come lo spirito e le ragioni sottese alle soluzioni legislative varate nel 2012 e nel 2019 in relazione alla fattispecie delittuosa in esame siano sostanzialmente antitetici. Da una parte, la legge Severino, introdotta con la chiara finalità di colmare una lacuna punitiva esistente nel nostro ordinamento, ha inteso scongiurare il rischio di una criminalizzazione eccessiva ed irragionevole dell’attività di lobbying. Dall’altra parte, invece, il legislatore del 2019 – forse strizzando l’occhio alle spinte populiste e giustizialiste del tempo – attraverso l’introduzione di elementi di semplificazione probatoria ha determinato un ampliamento indiscriminato del raggio operativo del reato ex art. 346-bis c.p.
In questo quadro normativo, caratterizzato da un deficit di tassatività che pone seri dubbi di costituzionalità per violazione dell’art. 25, comma secondo, della Costituzione e, al tempo stesso, orfano di una regolamentazione dell’attività lobbistica a tutti i livelli del processo decisionale pubblico, si inserisce il disegno di legge n. S. 808 (c.d. DDL Nordio), già approvato dal Senato in data 13 febbraio 2024 e giunto alla camera il 24 giugno scorso per l’approvazione definitiva.
II. Il progetto di riforma dell’art. 346-BIS c.p.
Prima di procedere con l’analisi delle proposte di modifica contenute nel DDL Nordio in relazione al reato di traffico di influenze illecite occorre fare una – ulteriore – premessa.
Secondo gli esponenti dell’attuale maggioranza di Governo, l’intervento riformatore imprimerebbe una svolta di natura garantista alla politica criminale italiana, la quale, oramai da molti anni, avrebbe conosciuto uno scivolamento verso i lidi della legislazione emergenziale e del c.d. populismo penale, in particolare nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione.
Invero, con riferimento alle proposte di modifica dell’art 346-bis c.p., la relazione illustrativa del disegno di legge chiarisce che lo scopo perseguito è proprio quello di meglio precisare alcuni elementi del reato, confermandone così la natura di fattispecie “avamposto” rispetto alle fattispecie corruttive, posta a tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione.
A tale proposito, preme, sin da subito, evidenziare che, sebbene nella proposta di riforma sussistano alcuni spunti certamente condivisibili, in assenza di una regolamentazione dell’attività di lobbying, i profili di indeterminatezza ed incertezza della disposizione in esame appaiono insuperabili.
Il DDL Nordio intende intervenire sull’art. 346-bis c.p. su diversi fronti. In particolare, e passandoli in rassegna schematicamente e per punti:
- sfruttamento intenzionale delle relazioni – l’introduzione nell’enunciato dell’avverbio “intenzionalmente” per circoscrivere il perimetro di operatività della norma alle sole condotte caratterizzate dal dolo intenzionale appare Ciò, in quanto si tratta di una fattispecie in cui la condotta è già caratterizzata dalla volontà di sfruttare una relazione esistente per farsi dare o promettere indebitamente un’utilità, e la formulazione della norma esclude già sul piano della tipicità le forme di dolo meno intense: dolo diretto e dolo eventuale;
- relazioni effettivamente esistenti – l’esclusione della millanteria dal traffico di influenze illecite è una scelta certamente condivisibile, in quanto espunge dal perimetro normativo quei comportamenti che non recano alcuna offesa ai beni giuridici tutelati dall’art 346-bis
c.p. che sono il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione. Le condotte del vecchio millantato credito poste in essere dal “venditore di fumo” – ossia da colui il quale si fa dare o promettere un’utilità indebita millantando artificiosamente capacità di influenza inesistenti – potranno semmai integrare gli estremi del delitto di truffa ex art. 640 c.p.
Pertanto, in queste ipotesi, il committente non sarà più punibile come concorrente necessario del trafficante, ma rivestirà, ove sussistano tutti gli elementi costitutivi del reato di truffa, la qualifica di persona offesa.
Occorre tuttavia evidenziare che il delitto di truffa, a seguito della Riforma Cartabia, è divenuto un delitto perseguibile a querela di parte. Appare dunque inverosimile che la
persona offesa decida di esercitare il proprio diritto di querela, poiché così facendo sarebbe tenuta a manifestare all’autorità il suo intento illecito.
Da ultimo, vale la pena sottolineare che la scelta del Legislatore di escludere la rilevanza ex art 346-bis c.p. delle relazioni meramente asserite con il funzionario pubblico trova anche il pieno sostegno delle Sezioni Unite, le quali – come già anticipato sopra – si sono di recente pronunciate sulla questione;
- denaro o altra utilità economica – l’aggiunta dell’attributo “economica” riferito all’utilità corrisposta o promessa al mediatore per remunerare l’agente pubblico ovvero per indurlo a compiere l’atto illegittimo comporterebbe un significativo restringimento dell’ambito di operatività della norma, in quanto verrebbe esclusa la rilevanza penale delle promesse/dazioni non aventi natura strettamente patrimoniale.
Detta proposta di modifica desta non poche perplessità – anche – in relazione alle ipotesi corruttive (rispetto alle quali l’art. 346-bis c.p. ha una funzione anticipatrice di tutela) per le quali assume rilevanza qualsiasi utilità anche non necessariamente economica, finanche le prestazioni sessuali.
Inoltre, una siffatta soluzione contrasterebbe, sia con la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 1999 e con la Convenzione sulla lotta alla corruzione dell’Onu del 2003, già citate, le quali fanno riferimento a “any undue advantage”; sia con la recente proposta di direttiva europea di lotta alla corruzione nell’ambito della quale, all’art. 10, viene fatto chiaro riferimento ad “an undue advantage of any kind”;
- mediazione gratuita e mediazione onerosa – anzitutto, giova evidenziare che nel disegno di legge è stato invertito l’ordine delle due sotto-fattispecie rispetto al testo vigente: prima la c.d. mediazione gratuita, poi quella onerosa. Le ragioni di questa scelta vanno con ogni probabilità individuate nella volontà del Legislatore di far risaltare il collegamento fra la definizione di mediazione illecita di cui al nuovo secondo comma e la mediazione onerosa. La nozione di illiceità, infatti, si riferisce esclusivamente alla mediazione onerosa.
Con riferimento alla mediazione gratuita, il testo della norma rimane pressoché invariato, in quanto diretto a disciplinare le ipotesi di dazione/promessa del privato al trafficante di influenze affinché questi provveda a remunerare il pubblico agente. Tuttavia, viene eliminato dall’enunciato il riferimento ai “poteri” del soggetto pubblico. Si tratta di una modifica non condivisibile, in quanto l’attuale richiamo all’esercizio delle funzioni o dei poteri è dovuto al fatto che i soggetti destinatari della remunerazione non sono soltanto i pubblici ufficiali, ma anche gli incaricati di pubblico servizio che non esercitano funzioni: posseggono, appunto, poteri.
Le maggiori novità introdotte dal DDL Nordio riguardano senza dubbio la mediazione onerosa, in quanto il principale obiettivo perseguito dal Legislatore sarebbe proprio quello di colmare il deficit di tassatività e determinatezza che caratterizza l’articolo vigente.
Nondimeno, il Legislatore, piuttosto che intraprendere la strada certamente più difficile – ma al tempo stesso l’unica veramente risolutiva – della regolamentazione dell’attività lobbistica ha preferito riprodurre quasi pedissequamente la nozione di mediazione illecita offerta dalla Suprema Corte, vale a dire quella finalizzata a ≪indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322-bis a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito≫.
In altre parole, per definire il quid consistam della mediazione illecita, il Legislatore si è limitato a recepire nel precetto l’interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione, secondo cui la mediazione onerosa è rilevante ai sensi dell’art 346-bis c.p. allorquando sussistano tre requisiti concomitanti: i) il pubblico agente commetta un atto contrario ai doveri d’ufficio; ii) l’atto posto in essere dal soggetto pubblico integri una fattispecie incriminatrice; iii) dal predetto atto derivi un vantaggio indebito per il committente.
I profili di criticità di tale scelta sono evidenti: una siffatta formulazione dell’art. 346-bis c.p., infatti, escluderebbe dall’area del penalmente rilevante quelle mediazioni onerose finalizzate alla corruzione impropria (ex art. 318 c.p.).
Infine, occorre fare una precisazione: l’interpretazione offerta dalla Suprema Corte circa il significato da attribuire alla nozione di “mediazione illecita” riguardava perlopiù ipotesi di mediazioni onerose finalizzate alla commissione di fatti sussumibili nel delitto di abuso d’ufficio ex art 323 c.p. Ciò posto, sotto il profilo sistematico, appare piuttosto singolare che il Legislatore decida di tipizzare la mediazione illecita sul modello di mediazione onerosa indirizzata all’abuso d’ufficio e, al tempo stesso, scelga di abrogare il reato di cui all’art. 323 c.p.
Invero, vale la pena evidenziare che in caso di approvazione delle proposte di riforma summenzionate non saranno più punibili quelle mediazioni onerose dirette all’abuso d’ufficio da parte del funzionario pubblico, in quanto non integrerebbero appunto alcuna ipotesi delittuosa;
- trattamento sanzionatorio – il DDL Nordio prevede delle modifiche anche in punto di pena, elevando il minimo edittale da un anno ad un anno e sei mesi di reclusione. Tale inasprimento del trattamento sanzionatorio viene motivato, nella relazione illustrativa, quale conseguenza della riduzione dell’ambito applicativo della fattispecie delittuosa di cui all’art. 346-bis p.
In realtà, la modifica introdotta sul versante sanzionatorio sembra avere una valenza meramente simbolica. Piuttosto, avrebbe certamente avuto maggior impatto sul piano operativo prevedere un aumento di pena del massimo edittale innalzandolo a cinque anni con l’effetto di rendere possibile l’utilizzo dello strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche e ambientali: mezzi molto utili per contrastare fenomeni come quello che ci occupa, caratterizzati da un’elevata cifra oscura;
- circostanze – l’art. 1, comma primo, lettera c) del DDL Nordio prevede l’inserimento dell’art. 346-bis p. nel catalogo dei reati per i quali sono applicabili le attenuanti di cui all’art. 323-bis, comma primo e secondo, c.p.
Se, da una parte, la circostanza attenuante di cui al primo comma dell’art. 323-bis avrà un effetto meramente topografico – stante la contestuale soppressione dell’ultimo comma del vigente art. 346-bis c.p. – dall’altra parte, la scelta di estendere al delitto di traffico di influenze illecite la circostanza attenuante di cui al secondo comma dell’art. 323-bis c.p. rappresenta una novità certamente condivisibile, in quanto consentirà all’autore del reato di beneficiare di una significativa riduzione di pena in caso di comportamenti collaborativi.
Parimenti, è apprezzabile la modifica introdotta dall’art. 1, comma primo, lettera d) del disegno di legge, con la quale si intende estendere l’ambito di operatività della causa di non punibilità prevista dall’art. 323-ter, primo comma, c.p. anche al delitto di traffico di influenza illecite. Si tratta di una scelta peraltro coerente con la stessa ratio legis dell’art. 323-ter c.p., introdotto dalla legge Spazzacorrotti, il cui obiettivo è proprio quello di far emergere quei reati che spesso rimangono sottotraccia.
III. Considerazioni conclusive
Le intenzioni manifestate dal legislatore nella Relazione illustrativa del DDL Nordio, nel senso di voler “meglio precisare alcuni elementi del reato” di cui all’art. 346-bis c.p., sono certamente condivisibili: da una parte, verrebbe colmato il deficit di determinatezza che caratterizza l’attuale testo di legge; dall’altra parte, una maggiore definizione dei contorni della fattispecie potrebbe rappresentare un deterrente alla tendenza, sempre più diffusa nella magistratura inquirente, di qualificare come ipotesi di concorso nel reato di corruzione fatti che, al più, integrerebbero il reato di traffico di influenze illecite.
Tuttavia, non ci si può esimere dal rilevare che il problema della carente tassatività e precisione della fattispecie incriminatrice de qua non dovrebbe essere risolto agitando lo strumento penale, il quale, come è noto, oltre a dover essere l’extrema ratio del sistema, è deputato semmai a colpirne i soli risvolti patologici.
Per riempire di contenuto il delitto di traffico di influenze illecite non è sufficiente – anzi, per certi versi è addirittura dannoso e controproducente – un intervento mirato sulla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 346-bis c.p. Piuttosto, appare indispensabile far ricorso ad una regolamentazione di tipo amministrativo, organica e proporzionata, dell’attività di lobbying, che possa distinguere in modo chiaro la partecipazione fisiologica dei portatori di interessi particolari dalle forme patologiche di ingerenza nelle decisioni pubbliche.
In assenza di una regolamentazione extra-penale in grado di fissare con sufficiente precisione i confini di liceità dell’attività lobbistica, infatti, il concetto di mediazione illecita presente nella fattispecie penale, nonostante gli sforzi del Legislatore, finirebbe per restare assolutamente indeterminato, con l’effetto di una criminalizzazione indiscriminata e irrazionale dell’attività di lobbying.
È indubbio che nell’immaginario collettivo vi sia una concezione distorta dell’attività lobbistica, ritenuta una minaccia per gli assetti istituzionali. Del resto, non è affatto infrequente che nell’opinione pubblica si giunga all’affrettata conclusione che qualsiasi attività volta ad orientare o influire sui processi decisionali pubblici sia del tutto inopportuna o, finanche, ex se illecita.
Nel contesto italiano, la diffusa connotazione negativa delle lobbies deriva probabilmente dalla mancanza di trasparenza sui processi decisionali pubblici e su chi li influenza. Il lobbying in Italia si sviluppa tradizionalmente a porte chiuse, in un contesto di opacità che alimenta il sospetto di abusi e condotte illecite.
In realtà, l’operato dei gruppi di pressione, purché accortamente governato, può arricchire il processo democratico, in quanto concorre alla formazione della decisione pubblica rappresentando interessi particolari di cui il decisore potrà tener conto. È dunque evidente che il pluralismo degli interessi e la pressione dei portatori di tali interessi sui decisori pubblici devono ritenersi non solo legittimi e perfettamente coerenti con lo Stato democratico, ma anche una componente capace di contribuire al miglioramento qualitativo della legislazione e degli atti amministrativi.
Proprio per far si che il lobbying possa davvero diventare uno strumento di promozione lecita degli interessi privati è, dunque, indispensabile un’opera di chiarificazione normativa circa i limiti e le libertà dei lobbisti.
In definitiva, l’intervento riformatore, pur presentando elementi di novità certamente apprezzabili, rappresenta l’ennesima occasione mancata da parte del Legislatore per l’adozione di una disciplina che regolamenti in maniera organica l’attività lobbistica. L’attesa per un simile intervento normativo appare come l’unico strumento in grado di assicurare trasparenza, pubblicità e partecipazione democratica della società civile ai processi decisionali e, al tempo stesso, l’unico mezzo davvero capace di prevenire – senza scivolare verso i lidi della criminalizzazione diffusa – quei fenomeni distorsivi delle funzioni pubbliche.
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